Seminario di Martu Palvarini alla Naba  organizzato dal Gruppo Ippolita per il ciclo di seminari Matter of Identity, introduce Lavinia Hanay Raja docente del corso di Culture Digitali che già aveva ospitato il seminario Bias a Rappresentazione nel Role Play Game come visiting del 2019

Intervista di Naba a Matru Palvarini:

Chi sono e chi sono stati i tuoi maestri?

Io arrivo dal mondo dell’attivismo politico: anche grazie a questa esperienza, mi sono ritrovata a co-fondare una casa editrice e fare game design. E non ho mai smesso di fare attivismo politico perché, in qualche modo, anche quello che faccio tratta della cosa pubblica, della polis — ciò che è polis è modificabile, è in prima persona. L’idea che si possa creare un prodotto culturale (sia un libro o un video-gioco), modificando la realtà, è la spinta che ti porta ad auto-formarti cercando un confronto con un collettivo o un gruppo. Quindi più che maestri parlo di persone: persone che si sono formate vicendevolmente, leggendo, scrivendo o semplicemente parlandosi.

Che consiglio daresti a un giovane che si avvicina al mondo dei videogiochi?

Consiglio di partire da se stessi. Per costruire un gioco bisogna conoscere ciò che si sta scrivendo, esattamente come un romanzo, ma, in un certo senso, ancora di più. Perché, se un romanzo nella maggior parte dei casi rappresenta una scena alla volta, invece un gioco, in ogni sua fase, deve tener conto di un range di possibilità. Per il resto bisogna mettersi alla prova. Quello che suggerisco è farlo nell’ambito di un collettivo, fuoriuscire dalla dinamica che ha portato molte aziende videoludiche a rimanere chiuse in loro stesse, adottando parametri poco fluidi. Per produrre novità bisognerebbe invece sviluppare l’idea di cooperative, collettivi, gruppi organizzati.

Pensi che Milano sia il luogo giusto per sviluppare un’attività di game design?

Principalmente mi occupo di giochi analogici, gioco cartaceo e gioco in scatola. Quando stavo in
provincia mi sono allontanata per un po’ da questo mondo, la percezione era quella che fosse un
settore tossico, poco aperto all’innovazione e non ancora pronto a ragionare su alcune tematiche
per me fondamentali come quello dell’inclusione, sociale, di genere ecc.

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